Il pronao del tempietto neoclassico prospiciente la strada ospita una lapide rivelatrice di un’altra meraviglia di Ca' Erizzo-Luca: “ln questa villa, negli ultimi cruciali mesi della Battaglia del Grappa soggiornarono i poeti di Harvard addetti alle ambulanze della Croce Rossa Americana: tra di loro John Howard Lawson, John Dos Passos, Ernest Hemingway..." Nel 1918, la Nave fu sede della Sezione 1 dell'ARC (la Croce Rossa Americana) e, per una felice combinazione, fra i suoi guidatori di ambulanze, vi fu un' eccezionale concentrazione di future glorie letterarie americane. Oltre ai nomi citati nella lapide, vi furono anche Sydney Fairbanks, Dudley Poore e molti altri studenti dell'università di Harvard. Per questo, il gruppo si autodefinì "i Poeti di Harvard". Il fatto, storicamente accertato e ampiamente documentato, ha dato lo spunto al Dottor Luca per creare un importante Museo storico della Grande Guerra. In esso, vi è anche una "Collezione Hemingway" con documenti rari.
Ernest Hemingway impresse il suo marchio indelebile su qualunque territorio da lui attraversato col corpo e con la penna. La guerra, Il primo conflitto mondiale, come è a tutti ben noto, rappresentò un'iniziazione capitale: sia per il futuro scrittore, che rielaborando e mescolando la propria esperienza coi racconti dei soldati italiani diede vita a svariati, mirabili racconti (oltre che al celeberrimo Addio alle armi). Sia per I'uomo: perché al di là delle pose fanciullescamente teatrali, di quel suo tratto insopportabilmente esibizionista e smargiasso, è del tutto evidente che Hemingway fu davvero abitato dal demone dell' estremo: dunque dal desiderio spasmodico di valicare continuamente la "linea d'ombra" che separa la vita dalla morte. Scartato dai reparti combattenti per un difetto all'occhio, Ernest trova una soluzione di ripiego facendosi assumere come autista di autoambulanze della Croce Rossa Americana. E non ancora diciannovenne si imbarca per I'Europa il 23 maggio del 1918. Sbarcato a Bordeaux, dopo una breve sosta a Milano raggiunge Schio, dove in un vecchio lanificio è acquartierata la Quarta Sezione dell’ ARC. Ma della battaglia del Solstizio (scatenatasi il 15 giugno), nella zona del Pasubio, per il momento si sentono soltanto lontani echi. Da queste parti regna ancora una relativa calma. Fin troppa per quell’animo tanto irrequieto, che appena giunto in Veneto ha scritto a Kansas City: "Domani vado al fronte. Oh, Boy!!! Sono davvero felice di essere qui!!!". E difatti, dopo tre settimane trascorse smistando feriti nei centri di mediazione, giocando a baseball, nuotando nei torrenti e bazzicando osterie, Ernest sbotta: "Qui non c’è che del panorama, e fin troppo. Un giorno o I'altro mollo la sezione e vado a vedere dove sta la guerra". Detto e fatto. Alla fine del mese riesce a farsi trasferire nel Basso Piave, dove infuriano i veri combattimenti, e finalmente I'epopea bellica hemingwayana entra nel vivo. Gli episodi di coraggio e di eroismo che vedranno protagonista il futuro "Papa" sono numerosi, ma altrettanti quelli inventati artatamente. Un po' da lui, notoriamente predisposto a raccontare fole; un po' dagli altri, che col passare degli anni e I'esplodere della sua popolarità cominceranno ad alimentare un mare di leggende. A Fossalta di Piave, nella notte tra I’8 e il 9 luglio del 1918 quel ragazzetto americano che con lo zaino pieno di cioccolata e sigarette saltabecca nel buio per rifocillare i combattenti in prima linea, viene gravemente ferito dagli austriaci. Ed è qui che Hemingway si ferma a Villa Ca’ Erizzo-Luca, dopo la sua lunga degenza in un ospedale milanese a seguito delle ferite riportate sul Basso Piave. Attraversiamo il salone delle feste, dove i soldati americani consumarono ciucche colossali; gli spazi occupati dagli arditi; I'ala dove continuarono a risiedere i proprietari del tempo. Finché, da ultimo, giungiamo nel cosiddetto "angolo dei poeti". A sinistra compare il celebre ponte in legno disegnato da Palladio, a destra le montagne, davanti scorre il Brenta. Se a Fossalta Hemingway ha fatto per la prima volta i conti con la morte, negli stessi mesi e nello stesso Veneto ha conosciuto anche la bellezza al suo stadio supremo. Dell'incontro con la prima da conto in una lettera inviata ai genitori durante il ricovero a Milano: "Ho visto la morte in faccia e lo so. Se avessi dovuto morire, sarebbe stata davvero la cosa più facile di questo mondo... Ed è molto meglio morire in una felice giovinezza non ancora delusa, andarsene in una vampata di luce, piuttosto che veder logorarsi e invecchiare il nostro corpo e frantumarsi le nostre illusioni....". Ecco perché, una volta apertasi quella ferita non più rimarginabile, lo scrittore americano sposa il luogo della massima bellezza a quello del riposo eterno. E Ca' Erizzo ricompare così - a distanza di trent' anni - in Di là dal fiume e tra gli alberi (1950): "Vorrei essere seppellito lassù, lungo il Brenta, dove sorgevano le grandi ville coi prati, giardini, platani, cipressi. Conosco qualcuno che forse mi lascerebbe seppellire nelle sue terre... Non penso che sarei d'impaccio. Diventerei parte del suolo dove alla sera i bambini giocano, e alla mattina continuerebbero forse ad allenare cavalli a saltare e gli zoccoli calpesterebbero I’erba e le trote dello stagno affiorerebbero per carpire uno sciame di moscerini...".
Non c'è arena spagnola o altopiano africano che tenga. L'itinerario che meglio racchiude, prefigurandola, l'intera parabola letteraria e esistenziale del grande scrittore americano, è proprio quello che da Fossalta di Piave conduce a Bassano del Grappa.